Il balletto delle norme

Programma diverso da proporre

di Giovanni Pizzo

Insufficiente e timida: così è stata definita dalla Direzione Nazionale del PRI del 31 agosto la terza manovra del Governo in tre mesi, il cui scopo dovrebbe essere quello di rassicurare i mercati sulla solvibilità dell’Italia, anticipando al 2013 il pareggio di bilancio. Dietro il linguaggio "diplomatico" ufficiale si cela la grande preoccupazione per la manifesta incapacità del Governo di affrontare nell’unico modo possibile questa storica emergenza: attuare (finalmente) quel progetto organico di liberalizzazione del Paese per dare all’economia dinamicità, riprendere un percorso di crescita del PIL e riportare lo stock del debito ai livelli richiesti dalle istituzioni europee (60% del PIL). Il Governo, a nostro avviso, ha perso la grande occasione per dare una spallata a tutta quella "crosta" di privilegi, corporativismi e parassitismi attaccati alla spesa pubblica che paralizza qualsiasi maggioranza sia essa di centrodestra che di centrosinistra, in nome dell’emergenza finanziaria e con un alleato prestigioso: il Presidente Napolitano, chiamandoli ad un grande sforzo a favore dei loro figli. Il PRI, però, questa occasione non la può perdere, lasciandosi invischiare in questo penoso balletto di "normicchie" da qualche miliardo di euro più o meno presunto. Noi riteniamo che il Paese darebbe una risposta positiva, ma a due precise condizioni: 1) che venga spiegato seriamente cosa sta succedendo; 2) che il programma di "austerità" che dovrà inevitabilmente essere varato sia rigorosamente equo. Equo, nel senso che tutti dovranno pagare secondo le possibilità, e che chi ha già pagato non venga ulteriormente spremuto, almeno fino a quando chi non ha ancora pagato abbastanza, non lo abbia già fatto. E mi riferisco ai cittadini con redditi fissi che, è bene ricordarselo, hanno già pagato per l’euro la mega tassa occulta del doppio cambio euro/lira: quello degli stipendi a 1927 lire, quello dei beni di largo consumo, di fatto, a 1.000 lire, rimettendoci un buon 30% del potere di acquisto. Va detto agli italiani che la cosiddetta "speculazione internazionale" è costituita da soggetti che operano per conto di persone che hanno prestato soldi allo Stato italiano, il quale, ad oggi, ha accumulato un debito complessivo di 1.850 miliardi di euro (non nascondiamoci dietro la fredda % del PIL) e che su questo debito, sul quale per merito dell’euro, veniva pagato un interesse basso, i creditori cominciano a pretendere un interesse maggiore, perché temono che lo Stato non sarà in grado di restituire tutti questi soldi. In questi casi, l’unico modo di rassicurare i creditori è quello di fornire un "piano di rientro" e cominciare a restituire i soldi: altro che manovrine, ci vorrebbe un piano, ad esempio in otto anni, durante i quali con atto di legge, impegnarsi a garantire un saldo attivo del bilancio pubblico (dopo avere pagato gli interessi) dell’ordine di 50 miliardi/anno, in modo da conseguire, alla fine, uno stock del debito di 1.450 miliardi di euro. Nei primi tre anni di questo programma, dopo avere tagliato solo la spesa pubblica improduttiva (abolizione non solo delle Province, ma di tutti gli Organismi di natura pubblica intermedi fra il Comune e la Regione, senza ridurre la spesa per i servizi sociali e per gli investimenti e la ricerca) l’obiettivo del saldo positivo dovrebbe essere conseguito con una tassa patrimoniale straordinaria (tre anni) che darebbe la necessaria equità allo sforzo richiesto ai cittadini se congegnata in modo da colpire chi ha evaso o ha pagato solo il 12,5% delle plusvalenze. Sempre nel primo triennio non sarebbe da escludere un inasprimento dell’IVA modulato in modo da premiare (con incremento nullo) i prodotti che incorporano un basso impatto ambientale e da penalizzare (+ 3%) i prodotti che incorporano elevati costi esterni ambientali. Il primo triennio, inoltre, dovrebbe essere dedicato alle riforme strutturali di liberalizzazione (professioni, servizi pubblici locali, autorizzazioni per le attività imprenditoriali, ecc.), alle privatizzazioni, alla riforma strutturale del bilancio pubblico, all’efficientamento delle Aziende sanitarie, degli Enti di Previdenza, ecc., i cui effetti si dovrebbero dispiegare nel quinquennio successivo con la ripresa della crescita del PIL. Se il PIL dal valore di 1.843 miliardi del 2010 fosse arrivato a 2.100 miliardi (tasso di incremento medio dell’1,8%) lo stock del debito sarebbe stato portato al 69% del PIL. Ci rendiamo conto che non si tratta di una manovra, ma di un programma di governo da proporre, perché no, a tutte le forze politiche. Un tempo, nella Prima Repubblica, il PRI forse l’avrebbe potuto fare!